Alla cassa
dell’Eurospin incontro persone che non vedo da tanto. In quel punto, la
strozzatura-imbuto per pagamenti ci costringe a una pausa, guardiamo chi è
davanti, chi ci segue; ci consentiamo piccoli gesti gentili, facendo passare
chi ha comprato una busta di latte e due etti di prosciutto, noi che abbiamo il
carrello pieno. Così, se qualcuno è sfuggito al saluto perché siamo agganciati
visivamente dagli scaffali pieni di merce, nella strozzatura-imbuto della
cassa, lì, proprio lì, “abbiamo il tempo” di incrociare sguardi. Ho incontrato donne
che frequentavano il mio corso di ginnastica, qualche ex alunna di scuola media
con figli, coinquiline “migrate” altrove e ritrovate nonne con nipotini, e con
tutte ho ristabilito il contatto, ricordando il
passato insieme. A volte alla cassa arriva qualcuno che ha fretta,
arraffa la merce, occhi bassi, chiuso nell’input improrogabile di un elenco di
cose da fare, scritto dietro la fronte, che lampeggia “Muoviti, muoviti” ; quell’ umano non è lì, è
un corpo vuoto posseduto da un programma, un robot senza
ricordi, una mente comatosa e asettica. La fretta, la mancanza di tempo riduce
gli umani a un elettrodomestico, una lavatrice che lava lava lava , strizza
strizza strizza, programma inserito, sempre quello, sempre quello. Può una
lavatrice avere ricordi? Può una lavatrice chiedersi perché deve sempre lavare
/strizzare? Quando e perché l’umanità sia finita nel vicolo cieco, crudele di
una forma pensiero prettamente aziendale, sentenziando che il tempo è denaro, non
lo sapremo mai; per adesso, è consuetudine meccanica agire il tempo in faccende
quasi sempre materiali vivendo, velocemente, la vita nella dualità: da una parte
il dovere dall’altra il piacere, da una parte la seriosità dall’altra il
sorriso, da una parte la “produzione” dall’altra l’ozio, da una parte il lavoro
(tanto) dall’altra le vacanze (poche). Presi dall’ingranaggio, quasi tutti, non
scendiamo dalla giostra, anche se potremmo, dotati come siamo di anima,
intelletto e libero arbitrio. Il segreto della sopravvivenza dei napoletani sta
nel mescolare dovere e piacere in un cocktail originale, seriosità e sorriso,
produzione e ozio, lavoro e vacanze, con una propensione marcata verso la
seconda opzione (l’imprevedibile meravigliosa umanità). Un giorno, a Napoli, su
un tram cittadino si è creata una conversazione animata , al centro della quale
c’era Carmelo, un novantacinquenne arzillo, con baschetto alla francese, uomo
vivace e abile conversatore, con un grande senso dell’umorismo . Avendo lui ha
manifestato una certa stanchezza di gambe, noi tutti abbiamo chiesto e ottenuto,
una fermata supplementare, nei pressi dell’abitazione di nonno Carmelo. Quando
un viaggiatore, preso dalla simpatia, gli ha augurato il classico “ Puozze
campà cient’anne!” non sapendo esattamente l’età dell’anziano, quello gli ha
risposto “Mannaggia a capa toia… e secondo te, ie aggia campà SULAMENT nati
cinq ‘anne?” e gli ha mostrato un paio di nodose dita a mò di corna. Siamo scoppiati tutti a
ridere e, per un po’, benchè fosse sceso dal tram, nonno Carmelo ha viaggiato
ancora con noi, che non eravamo più estranei l’uno all’altro. Il tempo- arte è
quello che ci fa risaltare come umani ed entra in collisione con la mercanzia
nel tempio; se mentre pulisco casa, il mio cane vuole “grattini” sulla testa e
ruba calzini per essere rincorso, mi fermo e ci gioco, perché ORA lui ha
voglia di giocare, domani chissà. In fondo Canillo, senza parole, con qualche
ringhiata e abbaiatine varie, funge da insegnante: mi ricorda che la vita è
adesso e, soprattutto, che non sono una lavatrice col programma inserito.
domenica 28 luglio 2013
mercoledì 10 luglio 2013
Da cuore a cuore
Mia madre è trapassata. Così sono legata alla cordata di
donne che continua a vivere , con la testa voltata all’indietro, a ricordare
l’infanzia , a risentire risate, a rivedere gli spot della vita insieme. Chiusa in casa, in compagnia delle emozioni, mi guardo soffrire
mentre rassicuro mamma con le preghiere. Qualcuno mi dice di distrarmi ma
perché? Anche questo dolore fa parte del nostro amore. Le lacrime non bastano, sono costretta a
sporgermi sul bordo dello strapiombo e a guardare di sotto; lì c’è il vuoto di
lei, immenso, che potrebbe essere colmato anche solo da un suo bacio delicato.
“Ti abbraccio e ti “abbacio” ci dicevamo scherzando, dopo che, una volta ,
mamma risucchiata dalla “a” della parola “abbraccio”, la aggiunse anche all’altra . La nostra intimità, era frutto
della somiglianza dell’anima; nell’ultimo anno mi diceva spesso una frase: ”
Siamo della stessa sostanza, abbiamo il cuore nobile”. Mamma mi ha insegnato
l’amore incondizionato per cui se ami qualcuno prendi tutto il pacchetto, nel
bene e nel male e, nonostante l’arroganza, dispensi faticosamente, la preziosa
pace interiore. Quanto abbiamo riso io e mamma! Facevo il clown per lei, perché
ridessimo a crepapelle; giochi di parole in dialetto napoletano, battute e
scioglilingua, che, come un’esperta spalla, le porgevo perché avesse il piacere
di ripetere vecchie rime e proverbi, patrimonio verbale della nostra famiglia.
In fondo l’amore è fatto di attenzione, di gesti rituali ripetuti, di piccole complicità
quotidiane, di ricordi condivisi, di gioco, di accettazione, di energia che
scorre come un tappeto tra due persone che l’hanno srotolato volutamente. Vedo
quest’energia rappresentata nell’immagine di Gesù che emana due raggi dal
cuore; l’obiettivo delle nostre vite era ed è, diffondere luce del cuore anche
per chi ancora non ce l’ha. Io e mamma
ci siamo trattate con gentilezza e presenza, con attenzione e cura, come
fossimo due cristalli trasparenti; ognuna delle due voleva che l’altra stesse bene
e s’impegnava per questo. Ci siamo confidate, sostenute, coccolate,
abbracciate, abbiamo intrecciato sguardi nutrienti con i nostri occhi simili
nel colore e nella forma. Tutto ciò mi manca: durante le giornate, a tratti, il
mondo perde colore, si svuota, divento estranea a quanto mi circonda, ho
bisogno di stare sola. Poi visualizzo il suo viso, prego per lei e il mondo,
per un po’, si riaccende . Non è facile scrivere di mamma; la commozione mi
prende mentre le parole dal foglio me la riportano qui, ma voglio condividere
la gioia di avere amato ed essere stata amata, con tenerezza , senza rimpianti .
Ho amato mamma da viva, con tutto il cuore, non ho scoperto il suo valore umano
adesso. Nel pacchetto” dell’amore ho
trovato l’accettare che il corpo di
mamma non ci sia più ma il tappeto luminoso tra me e lei , da cuore a cuore, è
percorribile, sempre.
Ci unisce
sempre
il cordone invisibile
attraversato a doppio senso
da memorie.
Il nostro amore
è irradiato da cuori a specchio,
luccicanti come vetrate di chiesa,
colorate di rosa, di verde.
La mia e la tua luce,
raddoppiata,
mi scorre nelle vene,
mamma.
sempre
il cordone invisibile
attraversato a doppio senso
da memorie.
Il nostro amore
è irradiato da cuori a specchio,
luccicanti come vetrate di chiesa,
colorate di rosa, di verde.
La mia e la tua luce,
raddoppiata,
mi scorre nelle vene,
mamma.
mercoledì 3 luglio 2013
Lettera a un’amica malata di cancro (temporaneamente)
Carissima,
fisso tuo
fratello e leggo dolore nel grigiore del
viso. Lui coglie il mio sguardo e mi rivela che hai un cancro al seno; me l’ha detto perché sa che anch’io ho fatto quel percorso
e ne sono venuta fuori. Ti scrivo per parlarti di me. Oggi so che la guarigione
e la malattia sono nelle nostre mani e, benchè intossicati da mille sostanze
chimiche non c’è veleno più grande del nostro personale, nascosto dolore. Quel
dolore vissuto in silenzio, col sorriso sulle labbra, perché abbiamo scelto di
dispensare armonia, convinte di dover dare dare
anche in fin di vita. Ricordo l’affanno di provvedere alla serenità di
tutti,dimenticando le mie esigenze, i “voglio”, non lamentandomi degli ostacoli
della vita. Marciavo sguainando la
comprensione e non era mai facile accontentare tutti. Perché lo facevo?Per sentirmi onnipotente? Per
sopravvalutazione? Perché è scontato che una donna sia così? No, era insito in
me, perseguire la felicità anche per gli altri, così mi dividevo in mille ruoli
ma non ce la facevo mai. In famiglia, al lavoro ho lasciato che prendessero brandelli di me, mi scaricassero
addosso cose da fare, urla, critiche , paturnie e pseudo problemi e di fronte
al dono del mio sorriso dicevano :” Beata te, che non hai problemi!”. Si potrebbe chiamare crudeltà
mentale? Diventare terraferma e poi
essere saccheggiati, noi, i buoni (i
fessi), che nascondiamo l’affidabilità, il nostro esserci sempre, faticoso,
dietro un sorriso dolce o il prenderci in giro. Avrei dovuto smettere di sorridere e tirare
calci o urlare? Questo mi avrebbe salvato dal cancro, dal mio disinteresse per
me, perché ho sempre pensato prima agli altri? Altri che trovano comodo esibire
disponibilità e attenzione fuori di casa tranne poi dare per scontato pretendere
e fregarsene e poi infierire con le critiche al tuo più piccolo mancamento? Altri
che giustificano i loro errori addossandoli a te, tanto hai le spalle forti. Altri che, comunque agisci
equivocano il tuo comportamento; sei dolce per raggirare, sei stanca e triste per scocciare, loro hanno problemi, tu hai fisime, la tua stanchezza è sindrome
premestruale o ammutinamento. Gli egoisti ignorano la tua sofferenza, vedono
solo i loro piccoli disagi. Così un bel giorno, sfiancata come un cavallo da
tiro, desideri morire o forse vuoi chiuderti nel recinto protetto e pietoso
della malattia, dove speri di trovare
tregua al tuo essere un punching ball. Nel cuore sorge una speranza
amara: grazie alla malattia ti lasceranno finalmente in pace e, forse, leggerai
pietà nei loro occhi. Sappi che c’è un istante di puro intento potenziato da
forti emozioni negative, in cui scegli di ammalarti, per riunire intorno al tuo
letto di dolore, almeno i tuoi cari, prepotenti, ignavi, disarmonici o discordi
tra loro. E nei momenti difficili continui a consolidare l’idea finché non
succede. Ma si paga un prezzo molto alto, è un viaggio disperato. Dovrai
attraversare le fiamme e ci vuole
coraggio per venirne fuori. O
l’aiuto di Dio se lo chiedi e lo accetti. Sì, per un po’ i cari si sono riuniti
(qualcuno no perché aveva da fare), per un po’ hanno avuto pietà ma non toccava
a me fornire l’occasione per l’armonia che loro NON desiderano creare per sé (infatti,
sono rimasti i-dentici). IO DEVO CREARE LA MIA ARMONIA, vivere realizzando me
stessa e mandare a quel paese chi non mi ama e rispetta, chiunque sia. Ricordo
l’uscita dalla sala operatoria, dopo svariate ore di intervento: vedo
l’immagine di San Pio, di fronte a me, la interiorizzo come fosse un’ostia da
mandare giù (ho scelto di andare all’ospedale di S. G. Rotondo). Fattissima di
anestesia, realizzo quanto sono contenta di essere viva. Pochi istanti e
avviene l’incontro con un medico zelante che, fissandomi, illustra la certezza
della mia dipartita, perché sono affetta da cancro incurabile. Giro la testa di
lato e indietro, caso mai stia parlando con la donna degente nel letto a sinistra.
Ma non c’è nessuno. Poi sento la mia voce rispondere calma: ”Non è vero”. Lo
saprò pur io se vivrò o morrò! E sono qui più forte e viva che mai, for ever
(mi sto esercitando per diventare immortale). Chiediti se vuoi veramente vivere
questa esperienza, se ti serve. di chi o cosa ti stai liberando, quali
risultati o eventi ti aspetti che accadano. E se nel profondo del tuo cuore
senti che sei in un vicolo cieco sappi che hai lo stesso potere di attrarre la
salute così come hai invitato la malattia. Se riconosci il potere, lo puoi
usare e pur andando per medici, non dare loro l’agio di decidere per te o di
spaventarti. “Usa” l’amore di tuo fratello che ti adora e vive per te. Ed io
come sto? Meglio di prima . Comunque, la malattia è stata una grande faticosa
occasione di crescita. Se avessi saputo
ciò che so adesso non mi sarei ammalata bensì avrei detto in faccia le
cose che pensavo, avrei mandato a quel paese le persone prepotenti,e magari mi
sarei fatta un bel viaggio a Ibiza con
l’amica del cuore e avrei riso di gioia fino alle lacrime, come so fare io. Impara
a dire di no, non rinunciare a te stessa e, soprattutto, prenditi cura di te. Ora
sono serena e tanti bisogni e attaccamenti che avevo, sono caduti come foglie
morte. L’unico vero bisogno è il bisogno
di Dio che soddisfo con preghiera e meditazione. E, sai amica, ho guadagnato
quel pizzico di egoismo q.b. perché, se
ci fai caso, gli egoisti ,fanno, dicono, prendono ciò che vogliono e non si
ammalano. MAI.
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