domenica 28 luglio 2013

Avere tempo



Alla cassa dell’Eurospin incontro persone che non vedo da tanto. In quel punto, la strozzatura-imbuto per pagamenti ci costringe a una pausa, guardiamo chi è davanti, chi ci segue; ci consentiamo piccoli gesti gentili, facendo passare chi ha comprato una busta di latte e due etti di prosciutto, noi che abbiamo il carrello pieno. Così, se qualcuno è sfuggito al saluto perché siamo agganciati visivamente dagli scaffali pieni di merce, nella strozzatura-imbuto della cassa, lì, proprio lì, “abbiamo il tempo” di incrociare sguardi. Ho incontrato donne che frequentavano il mio corso di ginnastica, qualche ex alunna di scuola media con figli, coinquiline “migrate” altrove e ritrovate nonne con nipotini, e con tutte ho ristabilito il contatto, ricordando il  passato insieme. A volte alla cassa arriva qualcuno che ha fretta, arraffa la merce, occhi bassi, chiuso nell’input improrogabile di un elenco di cose da fare, scritto dietro la fronte, che lampeggia  “Muoviti, muoviti” ; quell’ umano non è lì, è  un corpo vuoto  posseduto da un programma, un robot senza ricordi, una mente comatosa e asettica. La fretta, la mancanza di tempo riduce gli umani a un elettrodomestico, una lavatrice che lava lava lava , strizza strizza strizza, programma inserito, sempre quello, sempre quello. Può una lavatrice avere ricordi? Può una lavatrice chiedersi perché deve sempre lavare /strizzare? Quando e perché l’umanità sia finita nel vicolo cieco, crudele di una forma pensiero prettamente aziendale, sentenziando che il tempo è denaro, non lo sapremo mai; per adesso, è consuetudine meccanica agire il tempo in faccende quasi sempre materiali vivendo, velocemente, la vita nella dualità: da una parte il dovere dall’altra il piacere, da una parte la seriosità dall’altra il sorriso, da una parte la “produzione” dall’altra l’ozio, da una parte il lavoro (tanto) dall’altra le vacanze (poche). Presi dall’ingranaggio, quasi tutti, non scendiamo dalla giostra, anche se potremmo, dotati come siamo di anima, intelletto e libero arbitrio. Il segreto della sopravvivenza dei napoletani sta nel mescolare dovere e piacere in un cocktail originale, seriosità e sorriso, produzione e ozio, lavoro e vacanze, con una propensione marcata verso la seconda opzione (l’imprevedibile meravigliosa umanità). Un giorno, a Napoli, su un tram cittadino si è creata una conversazione animata , al centro della quale c’era Carmelo, un novantacinquenne arzillo, con baschetto alla francese, uomo vivace e abile conversatore, con un grande senso dell’umorismo . Avendo lui ha manifestato una certa stanchezza di gambe, noi tutti abbiamo chiesto e ottenuto, una fermata supplementare, nei pressi dell’abitazione di nonno Carmelo. Quando un viaggiatore, preso dalla simpatia, gli ha augurato il classico “ Puozze campà cient’anne!” non sapendo esattamente l’età dell’anziano, quello gli ha risposto “Mannaggia a capa toia… e secondo te, ie aggia campà SULAMENT nati cinq ‘anne?” e gli ha mostrato un paio di nodose  dita a mò di corna. Siamo scoppiati tutti a ridere e, per un po’, benchè fosse sceso dal tram, nonno Carmelo ha viaggiato ancora con noi, che non eravamo più estranei l’uno all’altro. Il tempo- arte è quello che ci fa risaltare come umani ed entra in collisione con la mercanzia nel tempio; se mentre pulisco casa, il mio cane vuole “grattini” sulla testa e ruba calzini per essere rincorso, mi fermo e ci gioco, perché ORA lui ha voglia di giocare, domani chissà. In fondo Canillo, senza parole, con qualche ringhiata e abbaiatine varie, funge da insegnante: mi ricorda che la vita è adesso e, soprattutto, che non sono una lavatrice col programma inserito.




mercoledì 10 luglio 2013

Da cuore a cuore




Mia madre è trapassata. Così sono legata alla cordata di donne che continua a vivere , con la testa voltata all’indietro, a ricordare l’infanzia , a risentire risate, a rivedere gli spot della vita insieme.  Chiusa in casa, in  compagnia delle emozioni, mi guardo soffrire mentre rassicuro mamma con le preghiere. Qualcuno mi dice di distrarmi ma perché? Anche questo dolore fa parte del nostro amore.  Le lacrime non bastano, sono costretta a sporgermi sul bordo dello strapiombo e a guardare di sotto; lì c’è il vuoto di lei, immenso, che potrebbe essere colmato anche solo da un suo bacio delicato. “Ti abbraccio e ti “abbacio” ci dicevamo scherzando, dopo che, una volta , mamma risucchiata dalla “a” della parola “abbraccio”, la aggiunse anche  all’altra . La nostra intimità, era frutto della somiglianza dell’anima; nell’ultimo anno mi diceva spesso una frase: ” Siamo della stessa sostanza, abbiamo il cuore nobile”. Mamma mi ha insegnato l’amore incondizionato per cui se ami qualcuno prendi tutto il pacchetto, nel bene e nel male e, nonostante l’arroganza, dispensi faticosamente, la preziosa pace interiore. Quanto abbiamo riso io e mamma! Facevo il clown per lei, perché ridessimo a crepapelle; giochi di parole in dialetto napoletano, battute e scioglilingua, che, come un’esperta spalla, le porgevo perché avesse il piacere di ripetere vecchie rime e proverbi, patrimonio verbale della nostra famiglia. In fondo l’amore è fatto di attenzione, di gesti rituali ripetuti, di piccole complicità quotidiane, di ricordi condivisi, di gioco, di accettazione, di energia che scorre come un tappeto tra due persone che l’hanno srotolato volutamente. Vedo quest’energia rappresentata nell’immagine di Gesù che emana due raggi dal cuore; l’obiettivo delle nostre vite era ed è, diffondere luce del cuore anche per chi ancora non ce l’ha.  Io e mamma ci siamo trattate con gentilezza e presenza, con attenzione e cura, come fossimo due cristalli trasparenti; ognuna delle due voleva che l’altra stesse bene e s’impegnava per questo. Ci siamo confidate, sostenute, coccolate, abbracciate, abbiamo intrecciato sguardi nutrienti con i nostri occhi simili nel colore e nella forma. Tutto ciò mi manca: durante le giornate, a tratti, il mondo perde colore, si svuota, divento estranea a quanto mi circonda, ho bisogno di stare sola. Poi visualizzo il suo viso, prego per lei e il mondo, per un po’, si riaccende . Non è facile scrivere di mamma; la commozione mi prende mentre le parole dal foglio me la riportano qui, ma voglio condividere la gioia di avere amato ed essere stata amata, con tenerezza , senza rimpianti . Ho amato mamma da viva, con tutto il cuore, non ho scoperto il suo valore umano adesso.   Nel pacchetto” dell’amore ho trovato  l’accettare che il corpo di mamma non ci sia più ma il tappeto luminoso tra me e lei , da cuore a cuore, è percorribile, sempre.
Ci unisce
sempre
il cordone invisibile
attraversato a doppio senso
da memorie.
Il nostro amore
è irradiato da cuori a specchio,
luccicanti come vetrate di chiesa,
colorate di rosa, di verde.
La mia e la tua luce,
raddoppiata,
mi scorre nelle vene,
mamma.


mercoledì 3 luglio 2013

Lettera a un’amica malata di cancro (temporaneamente)






Carissima,
fisso tuo fratello e  leggo dolore nel grigiore del viso. Lui coglie il mio sguardo e mi rivela che hai  un cancro al seno; me l’ha detto  perché sa che anch’io ho fatto quel percorso e ne sono venuta fuori. Ti scrivo per parlarti di me. Oggi so che la guarigione e la malattia sono nelle nostre mani e, benchè intossicati da mille sostanze chimiche non c’è veleno più grande del nostro personale, nascosto dolore. Quel dolore vissuto in silenzio, col sorriso sulle labbra, perché abbiamo scelto di dispensare armonia, convinte di dover dare dare  anche in fin di vita. Ricordo l’affanno di provvedere alla serenità di tutti,dimenticando le mie esigenze, i “voglio”, non lamentandomi degli ostacoli della  vita. Marciavo sguainando la comprensione e non era mai facile accontentare tutti. Perché  lo facevo?Per sentirmi onnipotente? Per sopravvalutazione? Perché è scontato che una donna sia così? No, era insito in me, perseguire la felicità anche per gli altri, così mi dividevo in mille ruoli ma non ce la facevo mai. In famiglia, al lavoro  ho lasciato che  prendessero brandelli di me, mi scaricassero addosso cose da fare, urla, critiche , paturnie e pseudo problemi e di fronte al dono del mio sorriso dicevano :” Beata te, che non hai  problemi!”. Si potrebbe chiamare crudeltà mentale? Diventare terraferma  e poi essere  saccheggiati, noi, i buoni (i fessi), che nascondiamo l’affidabilità, il nostro esserci sempre, faticoso, dietro un sorriso dolce o il prenderci in giro.  Avrei dovuto smettere di sorridere e tirare calci o urlare? Questo mi avrebbe salvato dal cancro, dal mio disinteresse per me, perché ho sempre pensato prima agli altri? Altri che trovano comodo esibire disponibilità e attenzione fuori di casa tranne poi dare per scontato pretendere e fregarsene e poi infierire con le critiche al tuo più piccolo mancamento? Altri che giustificano i loro errori addossandoli a te, tanto hai le  spalle forti. Altri che, comunque agisci equivocano il tuo comportamento; sei dolce per raggirare, sei stanca e  triste per scocciare,  loro hanno problemi,  tu hai fisime, la tua stanchezza è sindrome premestruale o ammutinamento. Gli egoisti ignorano la tua sofferenza, vedono solo i loro piccoli disagi. Così un bel giorno, sfiancata come un cavallo da tiro, desideri morire o forse vuoi chiuderti nel recinto protetto e pietoso della malattia, dove speri di trovare  tregua al tuo essere un punching ball. Nel cuore sorge una speranza amara: grazie alla malattia ti lasceranno finalmente in pace e, forse, leggerai pietà nei loro occhi. Sappi che c’è un istante di puro intento potenziato da forti emozioni negative, in cui scegli di ammalarti, per riunire intorno al tuo letto di dolore, almeno i tuoi cari, prepotenti, ignavi, disarmonici o discordi tra loro. E nei momenti difficili continui a consolidare l’idea finché non succede. Ma si paga un prezzo molto alto, è un viaggio disperato. Dovrai attraversare le fiamme e ci vuole  coraggio  per venirne fuori. O l’aiuto di Dio se lo chiedi e lo accetti. Sì, per un po’ i cari si sono riuniti (qualcuno no perché aveva da fare), per un po’ hanno avuto pietà ma non toccava a me fornire l’occasione per l’armonia che loro NON desiderano creare per sé (infatti, sono rimasti i-dentici). IO DEVO CREARE LA MIA ARMONIA, vivere realizzando me stessa e mandare a quel paese chi non mi ama e rispetta, chiunque sia. Ricordo l’uscita dalla sala operatoria, dopo svariate ore di intervento: vedo l’immagine di San Pio, di fronte a me, la interiorizzo come fosse un’ostia da mandare giù (ho scelto di andare all’ospedale di S. G. Rotondo). Fattissima di anestesia, realizzo quanto sono contenta di essere viva. Pochi istanti e avviene l’incontro con un medico zelante che, fissandomi, illustra la certezza della mia dipartita, perché sono affetta da cancro incurabile. Giro la testa di lato e indietro, caso mai stia parlando con la donna degente nel letto a sinistra. Ma non c’è nessuno. Poi sento la mia voce rispondere calma: ”Non è vero”. Lo saprò pur io se vivrò o morrò! E sono qui più forte e viva che mai, for ever (mi sto esercitando per diventare immortale). Chiediti se vuoi veramente vivere questa esperienza, se ti serve. di chi o cosa ti stai liberando, quali risultati o eventi ti aspetti che accadano. E se nel profondo del tuo cuore senti che sei in un vicolo cieco sappi che hai lo stesso potere di attrarre la salute così come hai invitato la malattia. Se riconosci il potere, lo puoi usare e pur andando per medici, non dare loro l’agio di decidere per te o di spaventarti. “Usa” l’amore di tuo fratello che ti adora e vive per te. Ed io come sto? Meglio di prima . Comunque, la malattia è stata una grande faticosa occasione di crescita. Se avessi saputo  ciò che so adesso non mi sarei ammalata bensì avrei detto in faccia le cose che pensavo, avrei mandato a quel paese le persone prepotenti,e magari mi sarei fatta un bel viaggio a Ibiza  con l’amica del cuore e avrei riso di gioia fino alle lacrime, come so fare io. Impara a dire di no, non rinunciare a te stessa e, soprattutto, prenditi cura di te. Ora sono serena e tanti bisogni e attaccamenti che avevo, sono caduti come foglie morte.  L’unico vero bisogno è il bisogno di Dio che soddisfo con preghiera e meditazione. E, sai amica, ho guadagnato quel pizzico  di egoismo q.b. perché, se ci fai caso, gli egoisti ,fanno, dicono, prendono ciò che vogliono e non si ammalano. MAI.