giovedì 28 marzo 2013

Io canto



Napoli, anni ’60, famiglia numerosa riunita a casa di nonna Olimpia. Non ricordo un componente del gruppo familiare che non cantasse. Nonna interpreta “le macchiette”, brani comici da avanspettacolo: ecco, prende il bastone, indossa un cappello Borsalino (si traveste da uomo), zio Rosario pizzica il mandolino, emergono versi appuntiti o grevi, rumori cadenzati, fischi, battute di mani, si gioca a percuotere oggetti. La canzone “Nino Zafferino” è la stessa, l’accompagnamento vocale e “strumentale” è ogni volta inedito.

Anno 2011, caldo settembre, conservatorio di Monopoli, prima prova dello spettacolo di canto gregoriano e musica elettronica contemporanea su progetto di Gianni Lenoci; è una bella idea, mi attrae e diverte. Cerco nei ricordi tracce di musica contemporanea, ma sono esili; mi nutro di musica etnica, new age, mantra, canzoni napoletane classiche, ninne nanne. Per “costituzione” preferisco l’armonia, amo l’ascolto e il canto di suoni noti; a tratti scovo affinità tra canzoni classiche napoletane e canto gregoriano. Sperimentare un solo aspetto di un intero non paga: ad un certo punto  sei costretto a incontrare il suo opposto, devi  destrutturare, tuffandoti nel caos e, col materiale riciclato, inventi nuove forme ; oggi  resetto qualsiasi pre-giudizio musicale, mi offro , neutrale, curiosa, all’esperienza qui presente.
Tasti percossi e corde di pianoforte solleticate ( chi l’ha detto che il piano si suona solo dai tasti?); le dita di Gianni passeggiano su e giù per la tastiera ripetendo una cantilena, tenue ossatura (ma  non sempre) per  sorreggere lo stridore degli strumenti a fiato. Talvolta i musicisti respirano appena negli strumenti, poi ci urlano dentro  impetuosamente,  con affanno si inseguono l’un l’altro mentre il batterista spazzola e fa vibrare piatti, piattini e  una grande lamiera rettangolare bruna ;ascolto il ronzio di sottofondo e decido che è il rumore di un phon. Questa musica imprendibile melodicamente, asincrona, non rassicura, non fa tamburellare con le dita né battere i piedi a ritmo; viene voglia di arrotolarsi con il corpo intorno ai suoni, come un bruco, di graffiare il muro con le unghie: eppure la sento parte di me; mi lascio percorrere, incontro zone d’ombra, me le guardo. Non ho riferimenti né certezze se non le pause ; rivivo l’effetto “scavo” dei mantra tibetani che echeggiano nel Vuoto, dopo averlo creato. Poi tocca a noi coriste, con il  delicato latino del  gregoriano, inscritto nel DNA,riportare tutti nel grembo, ricomporre, armonizzare, ricucire, abbellire, risanare perché la musica contemporanea torni a rimescolare , a rompere gli schemi. Nella fase di vita in cui scavalco forme fisse come un’ostacolista, comprendo  perché sono qui a cantare: musica elettronica contemporanea (yang) e canto gregoriano (yin) si completano nella diversità, generando  un intero, il cerchio chiaroscuro perfetto. Intravedo il sentiero di maturazione artistico/spirituale esperito dai musicisti, avendo percorso inizialmente note “note” e poi avendo fatto a pezzi qualsiasi schema ordinato e precisino. Il prodotto musicale di oggi è la forma nuova .
L’augurio è che ognuno di noi possa trasmutarsi in silenzio, dentro e fuori, nella musica e nella vita, nella mente e nel cuore, nell’attesa di  un altro big-bang. Così, durante l’ “Ode”, produco la mia generosa dose di bagarre vocale, contenta di rompere anch’io un po’… gli schemi. Scendo temporaneamente dall’Olimpo armonioso, ordinato, struggente delle note gregoriane e me ne vado fuori dal tempo, in meditazione; torno a casa di nonna Olimpia, quando ad occhi chiusi emettevo con passione e libertà versi, vocalizzi, rumori, risate, lamenti, suoni, tutti miei.





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